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La ricerca dell’alimento perfetto: scienza e nutrizione al servizio dei cittadini

L'intervista alla prof.ssa Maria De Angelis in occasione del prossimo Cibus Tec Forum che vedrà ospiti, fra gli altri, ricercatori e ricercatrici dello Spoke 3.

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Published: January 1, 1970
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Tra scienza, tecnologia e medicina si innesta il tema della nutrizione. La sfida è coniugare sempre di più l’alimentazione con la capacità di nutrire in modo sano ed efficace. È questo l’obiettivo di Spoke 3 di OnFoods che ha come referente la professoressa Maria De Angelis. Professoressa ordinaria di microbiologia agraria, alimentare e ambientale dell’Università di Bari Aldo Moro, la docente è direttrice del Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti.


Sicurezza, innovazione e alimentazione: quanto possono stare insieme queste tre parole? 

Devono assolutamente stare insieme, l’alimento non è solo nutrimento: il cibo può essere inteso come medicina per prevenire l’insorgenza di patologie croniche. Inoltre, sappiamo che i disturbi alimentari e le malattie a trasmissione alimentare sono tra le principali cause di morte nei paesi industrializzati: ecco quindi che la sicurezza alimentare è determinante per affrontare le sfide della nostra era.


Spoke 3 pone l’innovazione tecnologica al centro di questo trio di elementi dandole un ruolo focale. Come sta procedendo questo percorso?

Direi bene, in particolare lo spoke 3 tramite l’impiego di nuove tecnologie sta lavorando sulla messa a punto di nuovi metodi analitici che garantiscano la qualità e la sicurezza igienico sanitaria degli alimenti, che siano essi prodotti tradizionali o novel food, i quali suscitando sempre maggiore interesse sul mercato, con la prospettiva che assumano sempre più un ruolo chiave. Il perfezionamento dei metodi, l’aumento della quantità di dati a disposizione, ci consente anche di supportare l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, nelle decisioni e nella valutazione dei limiti della normativa europea e italiana.


Il lavorare tanto sui dati pone nuove sfide relative alla capacità di processare e analizzare poi il conseguente bagaglio di informazioni che si ottengono.

Esatto, la crescente quantità di dati che raccogliamo impone sfide notevoli. Lo Spoke 3 si occupa proprio di questo: integrare competenze diverse e coordinarle in modo efficace. Il nostro lavoro si basa sulla collaborazione tra microbiologi, biologici molecolari, chimici analitici e bioinformatici. Ognuno di noi porta una prospettiva unica, e il nostro obiettivo è metterle insieme per affrontare problemi che sono sempre più complessi. L'approccio multidisciplinare è fondamentale, soprattutto quando si parla di sicurezza alimentare. Le sfide che dobbiamo affrontare sono troppo articolate e complesse per essere risolte da una singola disciplina. Solo unendo le conoscenze di esperti provenienti da diversi settori è possibile rispondere in modo adeguato alle domande che ci vengono poste. La sinergia tra le competenze è la chiave del nostro successo. 


E dal punto di vista dei consumatori? Come posso, io consumatore, sentirmi tutelato all’interno di un processo così complesso?

Secondo la normativa italiana un alimento può essere commercializzato solo se non rappresenta alcun rischio per la salute. In caso contrario, non potrebbe essere messo in vendita. Questo è il presupposto di base del sistema di sicurezza alimentare. In aggiunta, ciò che noi facciamo nella ricerca dello Spoke 3 è valutare tutti i rischi, anche quelli emergenti e ri-emergenti, che possono ad esempio provenire anche dai novel food, o sostanze tossiche poco note. Questi pericoli possono essere presenti in qualsiasi fase della filiera produttiva a partire dalla produzione primaria e durante le fasi di trasformazione, trasporto e conservazioe dell’alimento, per questo è importante l’interazione con gli altri ambiti di ricerca del progetto Onfoods. In particolare, lo Spoke 2 tra gli altri si pone l’obiettivo di valorizzare lo scarto alimentare, ad esempio utilizzandolo per la produzione di un nuovo ingredienti o additivi alimentari, occorre che ci sia una nuova e dettagliata valutazione dei rischi a fronte delle tecnologie o biotecnologie adottate per la loro valorizzazione, sempre nell’ottica della garanzia della qualità igienico sanitaria. Stiamo parlando di rischi, quindi di probabilità, tenendo presente l’assunto di base, e cioè che di base tutti gli alimenti in commercio sono sicuri, come anche i dati analitici raccolti sugli alimenti stanno confermando. 


Il campo della sicurezza alimentare spesso è tema di cronaca e nelle vostre ricerche avete trovato i Pfas nel tonno e nel granchio blu. Quanto questi rilievi sono suscettibili di maggiore attenzione visto l’allarme sociale che c’è rispetto ad alcune sostanze? 

È un tema che sta suscitando molta attenzione, soprattutto perché i PFAS, noti come "sostanze perfluoroalchiliche", sono legati a gravi preoccupazioni per la salute pubblica. Queste sostanze sono altamente persistenti nell'ambiente e nel nostro corpo, il che significa che possono accumularsi nel tempo e avere effetti dannosi.

Quando rileviamo PFAS in alimenti come il tonno e il granchio blu, questo accende naturalmente un campanello d’allarme. I consumatori sono sempre più informati e sensibili riguardo alla qualità degli alimenti che consumano, e questo aumenta la pressione su enti di controllo, aziende alimentari e ricercatori. 

Le nostre ricerche evidenziano la presenza di queste sostanze in livelli che, seppur sotto i limiti di legge in alcuni casi, sono comunque motivo di approfondimento. Abbiamo scelto di pubblicare i dati fin da subito con la massima trasparenza e chiarezza. È fondamentale fornire chiarezza sui risultati delle nostre analisi, indicando anche i limiti normativi, quando ci sono, e ciò che effettivamente ritroviamo. Questa strategia informativa è cruciale per il consumatore e, soprattutto, per un settore delicato come quello della sicurezza alimentare, che spesso si trova sotto i riflettori. La trasparenza aiuta a informare correttamente e a ridurre qualsiasi panico infondato, permettendo ai consumatori di prendere decisioni consapevoli.


Esiste un fattore di accumulo da tenere presente? 

Sì, sicuramente. Quando rileviamo una sostanza come i PFAS in più alimenti, c’è il rischio che, nel tempo, questa possa accumularsi nel nostro organismo, aumentando la dose complessiva che assumiamo. In casi come questi, è importante che sia l’azienda sia noi, come referenti del mondo della ricerca scientifica, prestiamo la dovuta attenzione al potenziale rischio coinvolto. L'effetto di accumulo è uno dei temi principali di molte ricerche, perché la multi-esposizione a certe sostanze può portare a superare le soglie giornaliere di sicurezza. Questo aspetto è al centro delle nostre analisi e delle nostre raccomandazioni, poiché è fondamentale valutare correttamente il rischio a lungo termine per la salute dei consumatori.


OnFoods ha il limite temporale offerto dal processo di finanziamento legato al PNRR. Il tempo di questa ricerca ha davanti a sé gli ultimi mesi programmati. È un termine sufficiente? Vi basteranno?

La caratteristica di questi progetti di ricerca nati nell’ambito del PNRR è collegare il mondo scientifico all’impresa e far sì che ci siano delle ricadute concrete e fattuali proprio nel mondo aziendale. 

L’obiettivo è stato quello di sviluppare prototipi che potessero essere pronti per essere immessi nel mercato: è chiaro che non partivamo da zero ma da percorsi che in alcuni casi erano delineati, addirittura avanzati e comunque già definiti. Chiaramente poi c’è la messa a punto del metodo, che è stata fondamentale per ottimizzare il lavoro. Ma, di fatto, avevamo già tutte le competenze necessarie per procedere con il progetto, lavorando nella direzione giusta fin dal principio.


In che modo lo Spoke 3 affronta il tema delle differenze interindividuali e quindi contribuisce alla rivoluzione della alimentazione personalizzata? 

Il nostro approccio multidisciplinare, è uno degli aspetti chiave che conferisce ricchezza e complessità alla ricerca che portiamo avanti. Questo approccio ci ha permesso di lavorare proficuamente con alcuni gruppi specifici della popolazione. Ad esempio, abbiamo svolto studi che riguardano bambini, neonati, e anziani. Ua linea di ricerca a cui abbiamo dedicato molta attenzione riguarda gli alimenti gluten free in particolare quelli adatti ai bambini, e la digeribilità delle proteine. Per cui, in questi due anni e mezzo, quasi tre, ci siamo concentrati non tanto su tutta la popolazione, ma su fasce specifiche, cercando di rispondere alle esigenze particolari di questi gruppi.


Qual è una fascia che reputa particolarmente sfidante? 

Per quanto mi riguarda, una delle sfide maggiori è sicuramente il lavoro con il mondo del gluten free. Mi occupo da sempre di bambini celiaci, ma anche di adulti con la stessa condizione. Ho iniziato a lavorare su questi temi nel ’99, quindi ho avuto l'opportunità di approfondire nel tempo le problematiche specifiche legate a questa condizione, sempre con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di chi ne è affetto.


Cosa ha trovato più stimolante in questo tipo di alimentazione dedicata ai celiaci?

Una delle domande più stimolanti che ci siamo posti è stata: perché una persona adulta sviluppa la celiachia? La risposta coinvolge una predisposizione genetica combinata con fattori ambientali scatenanti. Ma quando viene superato il limite che trasforma la capacità digestiva dell’individuo? Approfondire questo aspetto è stato sempre per me sempre molto stimolante e interessante. Inoltre, ci sono anche delle implicazioni anche dal punto di vista sociale relative ad alcune specifiche popolazioni. Abbiamo osservato, in alcune popolazioni africane, un sottogruppo di bambini sviluppano la celiachia determiando un malessere legato al consumo di prodotti contenente glutine come la maggior parte degli alimenti essenziali/base della dieta forniti dagli aiuti umanitari. La mia formazione di biotecnologa alimentare ha fatto si che mi ponessi delle domande su queste problematiche che hanno fatto scattare dei campanelli di allarme. Ed è così che abbiamo cominciato a studiare gli alimenti gluten free, con l’obiettivo di renderli non solo sicuri, ma anche ottimali dal punto di vista nutrizionale e funzionale. I migliori tra questi alimenti possono essere di supporto per l’alimentazione dei bambini, soprattutto nei primi due anni dopo la diagnosi, un periodo in cui molti di loro possono soffrire di problemi intestinali, anche gravi. 

Al fine di migliorare gli aspetti sopramenzionati siamo andati ad agire sul contenuto in fibra, facendo in modo che sia ottimale e specifica per questi alimenti. Abbiamo registrato molti brevetti, uno dei più importanti ha riguardato un processo che permette di idrolizzare il glutine nel frumento, in modo che possa essere consumato anche dai celiaci. 


È come se lo inertizzassimo? 

Esatto: con l’idrolisi si elimina il glutine, ma si conservano gli amminoacidi. È un aspetto importante, soprattutto per un adulto che – poniamo – dopo 30 anni scopre di non poter più mangiare pane, pasta o pizza. Con la farina idrolizzata può continuare a consumarli in versione gluten free.


Immagino che il mondo industriale sia molto interessato a tale aspetto.

Certo, e per un periodo questo pane è stato effettivamente commercializzato. Tuttavia, in seguito l’azienda che aveva acquisito il brevetto ha smesso di produrlo. A quel punto, il mondo accademico non ha più possibilità di intervento: alza le mani.


Quali strategie concrete si sviluppano per ridurre i rischi lungo la catena alimentare, dalla produzione al consumo? 

Le strategie per ridurre i rischi lungo la catena alimentare sono davvero complesse e coinvolgono ogni fase del processo, dalla produzione alla tavola. Ognuna di queste fasi ha bisogno di un approccio mirato per garantire che gli alimenti siano sicuri e di alta qualità. Una delle strategie più importanti è l'adozione dei sistemi HACCP, che permettono di identificare e controllare i punti critici di controllo, come contaminazioni microbiologiche o chimiche. In questo ambito, l'etichettatura e la tracciabilità sono essenziali, permettendo di risalire all'origine di ogni prodotto in caso di problemi di sicurezza. Poi però bisogna sensibilizzare i consumatori: cosa succede se un alimento resta fuori dal frigorifero per ore? Se si interrompe la catena del freddo? Durante il trasporto commerciale? Chi compra un prodotto alimentare deve assicurarsi di poter mantenere la temperatura giusta fino al suo consumo, lo deve proteggere, conservare nel modo giusto. In tal senso è importante educare i consumatori sulla corretta conservazione, preparazione e lettura delle etichette. Infine, le normative internazionali stabiliscono limiti di sicurezza e le autorità sanitarie effettuano ispezioni per garantire il rispetto degli standard. In sintesi, la sicurezza alimentare dipende dalla collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti e da un controllo costante.


Anche quando l’alimento finisce nel proprio frigo dove spesso la conservazione non avviene con tutti i dettami delle norme di sicurezza igienico-sanitaria. 

É vero, ma in realtà mi preoccupa meno rispetto ad altri aspetti. In casa, generalmente l’alimento ci resta poco tempo. Il problema del confezionamento si pone maggiormente nella la filiera, dove i tempi di conservazione, trasporto e gestione, possono essere molto lunghi e quindi la ricerca è importantissima. L’obiettivo e produrre materiali di confezionamento migliori, non solo esteticamente più accattivanti, ma soprattutto più efficaci nel preservare la freschezza e la sicurezza dell’alimento. Inoltre, bisogna chiedersi che cosa quel tipo di confezionamento sta trasferendo all’interno dell’alimento: questo è un altro punto di attenzione importante quando si parla di sicurezza.


Viene spontaneo il collegamento al tema della plastica, delle nano e microplastiche. Vista da questo punto di vista, tutta l'alimentazione sembra un po' un mondo di sfide. Anche un po’ spaventoso, se vogliamo.

No, no, non c’è da aver paura perché; ogni giorno si lavora per migliorare i processi per conservare meglio gli alimenti spendendo meno, e anche questo fa parte della sostenibilità. In effetti, penso che l'Italia sia uno dei paesi più sicuri al mondo in termini di sicurezza alimentare. L’innovazione è importante, ma non perché ciò che abbiamo non vada bene, ma perché bisogna rispondere a nuove sfide, come l'aumento della popolazione, il cambiamento dei consumi e dei fabbisogni delle famiglie.


Dal punto di vista strettamente legato alla gestione della sicurezza alimentare, quali strumenti vengono sviluppati per rilevare in modo tempestivo tossine, allergeni e patogeni? L'intelligenza artificiale è una nostra alleata in questo senso?

Certo, l’intelligenza artificiale può essere un valido alleato, anche se siamo agli albori di questo mondo da esplorare. Per applicare l'intelligenza artificiale in modo efficace, però, abbiamo bisogno di raccogliere molti più dati. L’intelligenza artificiale utilizza metodi predittivi che, al momento, richiedono un volume significativo di informazioni per essere davvero efficaci.


A dicembre 2026 termineranno i tre anni di progetto. Cosa immagina lei? 

Premesso che ognuno di noi sta lavorando anche ad altri progetti e quindi la ricerca non si ferma, e non può farlo, io spero ci sia un proseguimento del PNRR che è uno strumento utilissimo in particolare al Sud. Non vorrei che si perdesse questa magnifica complessità, che è il risultato del lavoro di un numero elevato di ricercatori e dalla ricchezza degli approcci multidisciplinari che allo stesso tempo tengono insieme il momento divulgativo e il contatto con le imprese. I prossimi mesi saranno cruciali, ma la nostra speranza è che si possa continuare su questa strada, per portare avanti i risultati ottenuti e cogliere nuove opportunità

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